Lucca, Italia, Maggio 2020
Alla fine, dopo circa due mesi di lockdown, la prima ondata della pandemia pare essere passata. Si è lasciata dietro un senso collettivo di impotenza, incertezza e paura, e la triste consapevolezza di dover comunque convivere con il virus ancora per parecchi mesi a venire. Cessate le restrizioni più ferree stiamo cercando in fretta di tornare alle nostre vite di prima, per quanto possibile, nel tentativo di esorcizzare la minaccia del virus e ripristinare la quotidianità pre-COVID. Di fatto però, niente è come prima: dalla pratica del distanziamento sociale e della sanificazione compulsiva, all’uso imperativo delle mascherine.
In questo periodo, al ritrarre persone mascherate, ho spesso preferito fotografare il volto delle strade, dei palazzi, delle chiese, delle case, della mia città. Senza riuscire però del tutto a liberarmi mai dell’ansia: incombente, densa, appiccicosa e nera come la pece. E così, malgrado i cieli tersi e l’aria frizzante di una bellissima, salvifica, tarda primavera, le foto ritraggono Lucca nell’atto di squarciare l’oscurità in cui è ancora prepotentemente immersa. Ne è nato un progetto fotografico, tutt’ora aperto: un ritratto della mia città al tempo della pandemia.
In queste foto, la città appare deserta ed immobile; come assopita, sospesa, in un letargo fuori stagione, e fuori dal tempo. La luce del giorno ne rivela solo alcuni scampoli, intagliando nuove geometrie tra l’architettura secolare ed il cielo. D’altro canto l’occhio non può fare a meno di cercare di intuire ciò che rimane invisibile nell’ombra, come se percepisse la vita negli angoli cancellati dall’ombra dei muri e dei tetti, nelle stanze dietro alle finestre e per le vie immerse nell’oscurità.
Vivo a Lucca ed ho vissuto in questa città per gran parte della mia vita, tuttavia, posso dire di non averla mai veramente fotografata prima. É come se il lockdown mi avesse inaspettatamente offerto una prospettiva diversa attraverso cui vedere luoghi a me consueti, con occhi nuovi.
